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Sanzioni tributarie: l’amministratore risponde solo in caso di società fittizia

Per le violazioni commesse dall’amministratore nell’interesse della Srl, l’unica a rispondere fiscalmente è la società stessa (Cassazione tributaria n. 16454/2025)

Con la sentenza n. 16454/2025 (testo in calce) la V sezione della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla delicata questione del regime sanzionatorio applicabile all’amministratore di società destinataria di sanzioni fiscali.

Ripercorrendo il dibattito giurisprudenziale sul punto, la Corte esclude la responsabilità della ricorrente, amministratrice di una S.r.l., confermando come in presenza di società di capitali o enti dotati di personalità giuridica, non costituenti una mera entità fittizia, o comunque utilizzati come mero soggetto interposto dal relativo amministratore e in generale dell’intraneus per scopi propri, tutte le sanzioni fiscali che dipendono dal suo comportamento vanno irrogate esclusivamente in capo alla società o alla persona giuridica stessa.

È a questa, infatti, che va ricondotto il rapporto fiscale e dunque il relativo vantaggio, in base al disposto dell’art. 7, D.L. n. 269/2003, con esclusione di qualsiasi imputazione della sanzione a titolo di concorso all’intraneus ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997.

La sola ipotesi in cui può configurarsi la responsabilità di un altro soggetto, diverso dalla società – in particolare dell’amministratore – è quella in cui la società stessa costituisce una mera fictio.

La deroga al principio della responsabilità personale resta tuttavia circoscritta al piano fiscale, rimanendo intatto il profilo civilistico e penalistico della responsabilità del concorrente.

Il caso

A seguito di indagini, l’Agenzia delle Entrate emetteva processi verbali di constatazione (p.v.c.) con cui accertava l’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti da parte di una S.r.l. e di una S.p.a. nei confronti di un’ulteriore società per azioni.

L’Agenzia agiva quindi nei confronti di quest’ultima, recuperando a tassazione l’imponibile relativo agli anni interessati e irrogando le conseguenti sanzioni.

Veniva poi accertato che tutte le società citate e coinvolte erano riconducibili al nucleo familiare di una socia amministratrice e del marito, legati tra loro da rapporti sociali di varia natura, anche per mezzo di altre società.

Venivano quindi irrogate sanzioni anche a carico della donna, per aver perseguito un proprio interesse economico, illecito, avvalendosi dello schermo sociale.

In particolare, la CTP confermava la responsabilità concorrente e soggettiva dell’amministratore, ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997, accanto a quella della S.p.a., mentre la CTR si mostrava di altro avviso, sostenendo che la S.p.a. non costituisse lo schermo per il perseguimento di un fine egoistico dell’amministratrice, ma fosse piuttosto il soggetto nel cui interesse questa aveva tentato di eludere la tassazione. Riteneva dunque la piena applicabilità del disposto di cui all’art. 7 del D.L. n. 269/2003 e accoglieva il gravame della contribuente, annullando le sanzioni.

L’Agenzia ricorreva per cassazione affidandosi a due motivi.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo di ricorso l’Erario rilevava l’errore della CTR per aver ritenuto che il citato art. 7 operasse come limite per la responsabilità concorrente dell’amministratore.

Col secondo motivo deduceva invece l’omesso esame di un fatto a suo dire decisivo, ossia la mancata previsione di un compenso all’amministratore, circostanza comprovante il perseguimento di un fine proprio, al pari dell’inserimento della S.p.a. in un ampio schema evasivo, di cui facevano parte altre società riconducibili al nucleo familiare della donna.

L’art. 7 del D.L. 269/2003 nella giurisprudenza di legittimità

Secondo la Corte il primo motivo di ricorso è infondato, alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, più volte intervenuta sul tema dell’impatto dell’art. 7 del D.L. n. 269/2003 sul sistema sanzionatorio fiscale.

La norma, come è noto, statuisce che “Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”, affermazione da cui discende, in via generale, la responsabilità sanzionatoria fiscale della sola persona giuridica che ha tratto vantaggio dall’illecito.

Resta invece esclusa la responsabilità del c.d. intraneus, inteso soprattutto come amministratore, sia di fatto che di diritto, esulando dunque qualsiasi residua applicabilità della norma sul concorso dello stesso ai sensi dell’art. 9, D.Lgs. n. 471/97 (si vedano, tra le tante, Cass. n. 19716/2013 e le più recenti Cass. n. 9451/2020 e n. 18116 del 2022)

Il concorso di responsabilità dell’ “extraneus”

Proprio sul presupposto del discrimine costituito dal vantaggio fiscale, la Corte chiarisce tuttavia che, quando la società di capitali si riduce ad un mero schermo, un’entità fittizia costituita solo per consentire ad una persona fisica di trarre un vantaggio fiscale personale, torna ad applicarsi la regola generale della responsabilità per la relativa sanzione in capo alla persona fisica stessa.

Peraltro, aggiunge la Corte, la disposizione derogatoria contenuta al citato art. 7, si applica solo alle persone giuridiche, come espressamente previsto, in particolare alle società di capitali, mentre per le società di persone restano in vigore i principi della responsabilità personale e del contributo causale, di cui all’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997.

Recentemente, osservano i giudici, si è però registrata una divaricazione sul punto: alcune pronunce hanno infatti ritenuto che per l’extraneus valga in ogni caso la regola generale di cui all’art. 9, D.Lgs. n. 472/1997 e che quindi risponda dell’illecito fiscale in concorso con la persona giuridica avvantaggiata (tra le tante si veda Cass. n. 20697/2024). In altre pronunce si è invece richiesto un quid pluris, cioè uno specifico vantaggio personale dell’extraneus (identificato soprattutto in un vantaggio aggiuntivo rispetto ad una normale rimunerazione della propria attività svolta all’interno della società), ipotesi che ricorre appunto nel caso di specie, vista la qualifica di amministratore rivestita dalla contribuente.

La responsabilità fiscale della persona fisica

Esaminando il ricorso, la Corte osserva come la difesa dell’Erario tenti di ascrivere alla responsabilità dell’amministratore natura diversa da quella imputata alla società, fondandola sul disposto dell’art. 9 del D.lgs. n. 472/1997 e dimenticando invece che la disciplina dell’art. 7 del D.L. n. 269/2003 comporta un’eccezionale deroga alla responsabilità personale di cui all’art. 9 citato, per cui in caso di violazioni poste in essere dall’amministratore nell’interesse della società, l’unica a rispondere è quest’ultima.

Ciò in ragione dell’espresso riferimento al rapporto fiscale, intercorrente fra società ed Erario e contenuto all’art. 7 citato, che non prevede alcuna eccezione, né considera altre forme di vantaggi personali (riflessi) degli altri soggetti coinvolti, e proprio perché deroga eccezionalmente al principio di personalità della responsabilità vale solo per le sanzioni fiscali, restando invece intatto il profilo civilistico e penalistico della responsabilità del concorrente.

Società fittizia e responsabilità dell’amministratore

La sola ipotesi in cui può configurarsi la responsabilità di un altro soggetto – in particolare dell’amministratore – è quella in cui la società stessa non costituisce un’entità effettiva ma una mera fictio, uno schermo sociale, cosa che tuttavia non risulta nel caso di specie, come accertato dalla CTR e dal fatto che la stessa Agenzia delle Entrate ha reso la Spa destinataria dell’accertamento fiscale e delle relative sanzioni.

Ed il coinvolgimento dell’amministratrice nella responsabilità fiscale per sanzioni della società non può verificarsi neppure richiamando l’esorbitanza dalle mansioni da questa svolte rispetto alla normale gestione, sostenendo che non si sarebbe limitata alla gestione sociale ma avrebbe perseguito un proprio fine doloso.

Infatti, concludono i giudici, o si dimostra che la società costituisce un mero schermo, un’entità non effettiva o uno strumento di mera interposizione – ma come già detto la CTR ha accertato esattamente il contrario – oppure la finalità è sempre riconducibile al vantaggio fiscale della società che, come tutti gli altri vantaggi, certamente poi si riverberano sugli utili percepiti dai soci (tra cui nella specie l’amministratrice), senza però che la fisiologia del rapporto sociale ne risenta.

Il principio di diritto

Secondo la Corte può dunque affermarsi il seguente principio di diritto: “In caso di società di capitali o di ente dotato di personalità giuridica, la quale non costituisca un mero schermo e quindi un’entità fittizia, o che comunque non sia utilizzata come mero soggetto interposto dal relativo amministratore e in generale dell’intraneus per scopi suoi propri – nei quali casi è infatti quest’ultimo il soggetto passivo in quanto titolare del vantaggio fiscale – tutte le sanzioni fiscali che dipendono dal suo comportamento debbono essere irrogate esclusivamente in capo alla società od alla persona giuridica stessa cui va ricondotto il rapporto fiscale e dunque il relativo vantaggio, in base al disposto di cui all’art. 7, D.L. n. 269/2003, con esclusione dunque di qualsiasi imputazione della sanzione a titolo di concorso all’intraneus ai sensi dell’art. 9, D.Lgs. n. 472/1997”.

Conclusioni

Muovendo da tali considerazioni e dalla infondatezza anche del secondo motivo – in quanto gli elementi che secondo l’Agenzia sarebbero stati omessi erano in realtà stati espressamente considerati nella sentenza d’appello e ritenuti non decisivi – la Corte ha rigettato il ricorso.

Fonte: https://www.altalex.com/documents/news/2025/07/04/sanzioni-tributarie-amministratore-risponde-solo-caso-societa-fittizia