L’assoggettamento dell’indennità a contribuzione sussiste anche a fronte di una formale rinuncia da parte del lavoratore (Cassazione n. 4446/2025)
Con la recente ordinanza n. 24446 del 3 settembre 2025 (testo in calce), la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cardine in materia di adempimenti previdenziali: l’assoggettamento a contribuzione dell’indennità sostitutiva del preavviso sussiste anche a fronte di una formale rinuncia da parte del lavoratore.
La pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale granitico, ribadendo la duplice e non sovrapponibile dimensione giuridica che governa, da un lato, il rapporto sinallagmatico tra datore e lavoratore e, dall’altro, l’obbligazione pubblicistica verso gli enti previdenziali.
Il principio della duplice dimensione giuridica
Il fulcro della decisione risiede nella coesistenza di due piani giuridici autonomi e non sovrapponibili.
Il primo, di natura civilistica, governa il rapporto sinallagmatico tra datore di lavoro e lavoratore, fondato sull’autonomia negoziale. In questo ambito, l’indennità sostitutiva del preavviso (art. 2118 c.c.) costituisce un diritto patrimoniale disponibile, pertanto la rinuncia del lavoratore, se validamente espressa in un accordo transattivo (art. 1965 c.c.), è pienamente efficace inter partes ed estingue l’obbligazione retributiva del datore di lavoro.
Il secondo piano, di natura pubblicistica, disciplina invece l’obbligazione contributiva verso l’ente previdenziale. Tale obbligazione sorge ex lege e non dal contratto individuale, configurandosi come un’obbligazione tributaria indisponibile, finalizzata al finanziamento del sistema di welfare. Il soggetto attivo di tale rapporto non è il lavoratore, ma l’ente previdenziale, portatore di un interesse collettivo indisponibile. Di conseguenza, nessun accordo tra privati può modificare o estinguere un’obbligazione di natura pubblica.
Ne consegue che gli accordi stipulati tra datore di lavoro e lavoratore, pur validi sul piano civilistico, non possono disporre di un’obbligazione sorta nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica che coinvolge un terzo, l’ente previdenziale, a tutela di interessi collettivi.
La pronuncia della Cassazione si innesta in questo solco dogmatico, ribadendo che la rinuncia del lavoratore è un atto giuridico inopponibile all’INPS, poiché quest’ultimo è terzo rispetto all’accordo transattivo e titolare di una pretesa autonoma e inderogabile.
Il caso processuale e la decisione della Corte
La controversia trae origine da un avviso di addebito notificato dall’INPS a una società per il mancato versamento dei contributi sull’indennità di preavviso, a cui alcuni dipendenti avevano rinunciato tramite accordi transattivi. Sebbene la Corte d’Appello avesse inizialmente accolto la tesi aziendale, la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’INPS, ha cassato la sentenza e riaffermato l’inderogabilità dell’obbligo contributivo.
Il contesto normativo e la natura giuridica dell’indennità
L’istituto del preavviso, disciplinato dall’art. 2118 del Codice civile, assolve alla funzione di mitigare le conseguenze pregiudizievoli per la parte che subisce il recesso. Nel caso in cui la parte recedente opti per l’interruzione immediata del rapporto, la legge prevede la corresponsione di un’indennità sostitutiva, il cui importo è pari alla retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore durante il periodo di preavviso non lavorato.
La giurisprudenza di legittimità è costante nel qualificare tale indennità come un’erogazione di natura retributiva. Essa, infatti, non ha carattere risarcitorio, bensì rappresenta il corrispettivo dell’obbligazione del recedente di consentire la prosecuzione del rapporto per il tempo stabilito. Tale qualificazione è fondamentale, poiché determina l’inclusione dell’indennità nella base imponibile contributiva, ai sensi dell’art. 12 della Legge n. 153/1969, che definisce il concetto di retribuzione onnicomprensiva ai fini previdenziali, includendovi “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta”.
La base normativa: natura retributiva e retribuzione “virtuale”
La decisione si fonda su due pilastri normativi.In primo luogo, la costante giurisprudenza di legittimità qualifica l’indennità sostitutiva del preavviso non come una somma a carattere risarcitorio, bensì retributivo, rappresentando il corrispettivo della prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso non lavorato. Tale qualificazione ne determina l’inclusione nella base imponibile contributiva, ai sensi dell’art. 12 della L. n. 153/1969, che adotta un principio di onnicomprensività della retribuzione.
In secondo luogo, interviene il principio del minimale contributivo (art. 1, c. 1, D.L. n. 338/1989), che sgancia la base imponibile dalla retribuzione effettivamente erogata, ancorandola a quella legalmente dovuta. Si delinea così il concetto di “retribuzione imponibile virtuale”: anche se un importo non viene materialmente corrisposto al lavoratore per sua rinuncia, esso rimane giuridicamente “dovuto” ai fini previdenziali. L’obbligo contributivo va quindi assolto “come se” l’indennità fosse stata regolarmente pagata, poiché l’accordo privato non può neutralizzare una previsione di legge inderogabile.
Implicazioni operative per le imprese
La pronuncia, pur non innovando, rafforza la necessità di massima prudenza nella gestione delle cessazioni dei rapporti di lavoro. Le principali implicazioni sono:
- obbligo di versamento incondizionato: In ogni cessazione che comporti il mancato espletamento del preavviso, il datore di lavoro è tenuto a calcolare e versare i contributi sull’indennità sostitutiva, indipendentemente da eventuali accordi di rinuncia. L’omissione espone l’azienda a recupero coattivo, sanzioni e interessi.
- Strutturazione degli accordi transattivi: Gli accordi transattivi e gli incentivi all’esodo devono essere redatti con la massima perizia. Le somme erogate a titolo di “incentivo all’esodo” o per la rinuncia a future rivendicazioni non possono essere utilizzate per mascherare o assorbire l’indennità sostitutiva del preavviso. L’obbligo contributivo su quest’ultima permane e deve essere gestito separatamente. È prassi consigliabile, al fine di evitare contestazioni, esplicitare negli accordi che l’eventuale incentivo viene erogato a titolo diverso e non sostituisce l’indennità di preavviso, sulla quale i relativi oneri contributivi verranno assolti.
- Gestione del rischio revidenziale: La validità civilistica di un accordo di rinuncia non offre alcuna tutela contro le pretese dell’INPS. Il rischio di contenzioso e l’aggravio di costi devono essere attentamente ponderati in ogni negoziazione con i dipendenti in uscita.
Conclusioni
L’ordinanza n. 24446/2025 della Cassazione agisce come un autorevole promemoria della prevalenza dell’interesse pubblico alla sostenibilità del sistema previdenziale sull’autonomia negoziale delle parti. Per i datori di lavoro, il messaggio è inequivocabile: la gestione degli adempimenti contributivi esige massimo rigore e conformità con i principi normativi, poiché la rinuncia del lavoratore a un proprio diritto non può mai tradursi in un pregiudizio per il sistema previdenziale e la collettività. Una consulenza legale specializzata diventa, pertanto, uno strumento indispensabile per prevenire significative passività future.








