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Immobile senza agibilità: il compratore può rifiutare di pagare il saldo?

La mancanza del certificato di abitabilità (ora agibilità), se insanabile, può integrare una vendita ”aliud pro alio” (Cassazione n. 22651/2025)

In un contratto di compravendita, il compratore rifiutava di corrispondere il saldo perché l’immobile risultava ad uso commerciale e non ad uso abitativo come indicato nel rogito. L’acquirente era edotto dello stato del bene, ma il venditore si era obbligato ad ottenere il cambiamento di destinazione d’uso e a liberare la porzione di immobile occupata da un conduttore.

A fronte di tale inadempimento il compratore può legittimamente rifiutare di pagare il saldo?

La Corte di Cassazione, Sezione II, con l’ordinanza 5 agosto 2025, n. 22651 (testo in calce), risponde affermativamente. I giudici di legittimità ricordano che, nella vendita di immobili ad uso abitativo, l’abitabilità (ora definita agibilità dal Testo Unico Edilizio) costituisce un requisito indispensabile. Tale documento, infatti, incide sull’idoneità del bene a realizzare gli interessi perseguiti dai contraenti e ne assicura la commerciabilità. Il certificato si annovera tra i documenti che il venditore è obbligato a consegnare all’acquirente ai sensi dell’art. 1477 c. 3 c.c. Cosa accade se il certificato non viene consegnato?

La sua mancanza può legittimare il rifiuto di adempiere da parte del compratore e il giudice deve acclarare 1) se sia integrata la fattispecie della vendita “aliud pro alio”, nell’ipotesi in cui le difformità non siano sanabili, 2) oppure se l’inadempimento non sia grave e sia fonte solo di responsabilità risarcitoria da parte del venditore, nel caso in cui la mancanza della certificazione sia ascrivibile ad un semplice ritardo nella conclusione della pratica amministrativa.

Inoltre, gli ermellini evidenziano che la mera conoscenza, da parte del compratore, del mancato rilascio della licenza di abitabilità (ora agibilità ex art. 24 TUE) al momento della stipula del contratto di compravendita non esclude l’inadempimento del venditore salvo il caso in cui l’acquirente abbia rinunciato espressamente al requisito dell’abitabilità o si sia fatto carico dei relativi adempimenti.

La vicenda

Il venditore di un immobile agiva contro il compratore e otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento del saldo ancora dovuto pari a 30 mila euro. L’acquirente proponeva opposizione deducendo che l’alienante avrebbe dovuto consegnare un unico immobile ad uso abitativo ma, al momento dell’immissione nel possesso, il bene era privo di licenza di abitabilità, era diviso in due porzioni autonome ad uso commerciale ed era occupato da un conduttore.

In primo e secondo grado, l’opposizione veniva respinta; secondo il giudice del gravame, il saldo era esigibile atteso che l’acquirente era edotto dello stato edilizio ed urbanistico dell’immobile, così come descritto del rogito ed era altresì al corrente della presenza del conduttore in una delle due unità; infine, il mancato rilascio dell’abitabilità era imputabile al compratore che non aveva presentato la documentazione necessaria.

Si giunge così in Cassazione.

Le doglianze del compratore

L’acquirente contesta che la sentenza gravata non abbia considerato che le parti avevano concordato il trasferimento di un unico immobile a destinazione abitativa, identificato catastalmente come un A/2, mentre, al momento della consegna, il bene era suddiviso in due unità distinte ad uso commerciale. Inoltre, era irrilevante la circostanza che l’acquirente fosse edotto della presenza del conduttore atteso che l’alienante si era obbligato a consegnare il bene libero da cose e persone. Il compratore deduce, altresì, la violazione dell’art. 1477 c.c. a mente del quale il venditore deve consegnare al compratore i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all’uso della cosa venduta e lamenta che la decisione gravata non abbia considerato che era stato trasferito un bene diverso da quello concordato, configurandosi un’ipotesi di aliud pro alio.

Mancata consegna del certificato di abitabilità: inadempimento

In particolare, l’acquirente lamenta che la decisione gravata non abbia ravvisato un inadempimento dell’omessa consegna del certificato di abitabilità. Inoltre, secondo il giudice di merito, il venditore si era obbligato a presentare la dichiarazione d’inizio attività (D.I.A.) e non anche a modificare la destinazione dell’immobile, mentre, per le difese del ricorrente, il suddetto obbligo emerge sia nel contratto preliminare sia nel contratto di vendita.

La Suprema Corte ritiene fondate le doglianze del compratore nei termini che seguono.

È pacifico che l’immobile, alla consegna, risultasse diviso in due unità distinte con destinazione commerciale, che fosse parzialmente occupata dal conduttore e che mancasse il certificato di abitabilità. I giudici di legittimità rilevano che l’atto d’acquisto descrive l’immobile come un’unica unità abitativa censita a catasto come A/2, configurazione che doveva acquisire in seguito all’accorpamento dei due subalterni “nello stato di fatto (individuato nella planimetria allegata al rogito), successivo ai lavori di cui alla DIA”. La condizione oggettiva del bene – ancora diviso al momento del rogito – non esonerava il venditore dal porre in essere le necessarie modifiche strutturali per le quali aveva dato atto di aver presentato, due mesi prima del contratto, una denuncia di inizio attività per cambio di destinazione d’uso e per fusione. Anche nel contratto preliminare si evidenziava che era in corso il cambio di destinazione dell’immobile.

Alla luce di quanto esposto, i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere che il venditore si era obbligato alla consegna di un unico immobile. Così prevedeva la dichiarazione di inizio attività (del marzo del 2003) citata nel rogito. Il venditore si era, altresì, obbligato ad ottenere il cambiamento di destinazione d’uso, poteva dirsi esonerato dal suddetto obbligo solo nel caso in cui il compratore vi avesse rinunciato, oppure si fosse fatto carico dei suddetti adempimenti. La circostanza che il compratore fosse edotto della mancanza della certificazione risulta irrilevante (Cass. 442/1996; Cass. 10703/1994). A tal proposito, la giurisprudenza ha chiarito che:

  • «[…] la sola conoscenza da parte del compratore del mancato rilascio della licenza di abitabilità al momento della stipulazione, di un contratto di compravendita di un immobile destinato ad abitazione, non accompagnato da una rinuncia da parte dello stesso al requisito dell’abitabilità, soddisfatto solo dal rilascio della relativa licenza o dalla di lui volontà di esonerare comunque il venditore del relativo obbligo, non vale ad escludere l’inadempimento del venditore per consegna di “aliud pro alio”» (in tal senso, Cass. 10703/1994 che, a sua volta, richiama Cass. 6576/1991).

Abitabilità (ora agibilità) è un requisito indispensabile

I giudici di legittimità sottolineano che nella vendita di immobili ad uso abitativo l’abitabilità (ora agibilità) costituisce un requisito indispensabile. Tale documento «incide sull’attitudine del bene a realizzare gli interessi perseguiti dai contraenti, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità». Il certificato si annovera tra i documenti che il venditore è obbligato a consegnare all’acquirente ai sensi dell’art. 1477 c. 3 c.c. e «non può essere surrogato dal possesso del certificato per la destinazione dell’immobile ad uso ufficio» (Cass. 9253/2006).

La mancanza del certificato può legittimare il rifiuto di adempiere da parte del compratore, in tal caso, il giudice deve acclarare se sia integrata:

  • la fattispecie della vendita “aliud pro alio”, nell’ipotesi in cui le difformità non siano sanabili, infatti, «la licenza di abitabilità, nella vendita di appartamenti ad uso abitativo, costituisce un elemento che caratterizza l’immobile in relazione alla sua intrinseca capacità di assolvere una certa destinazione economico – sociale e quindi di soddisfare i concreti bisogni dell’acquirente, sicché la mancanza di tale licenza (ove il compratore non sia obbligato all’acquisto nella consapevolezza di tale mancanza) dà luogo ad una ipotesi di consegna di “aliud pro alio”» (Cass. 10703/1994);
  • oppure l’ipotesi di mancanza di qualità essenziali, nel caso in cui le difformità riscontrate siano sanabili,
  • oppure l’ipotesi dell’inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore (ma non di risoluzione del contratto per inadempimento), allorché la mancanza della certificazione sia ascrivibile al semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa (Cass. 23604/2023).

In merito al rifiuto del compratore di corrispondere il saldo, gli ermellini sottolineano che il rogito prevedeva esplicitamente che il saldo fosse subordinato al fatto che il venditore, a sue spese, si occupasse dello sfratto del conduttore. Pertanto, sino a che il bene rimaneva occupato, il compratore era legittimato a rifiutare il pagamento (Cass. 24786/2006).

Approfondimento: dall’abitabilità all’agibilità alla segnalazione certificata di agibilità

Per completezza espositiva, si segnala che attualmente la legge prevede la “segnalazione certificata di agibilità” (la cosiddetta “S.C.A.”). Si tratta di un documento che attesta quanto previsto dall’art. 24 TUE. Sotto il profilo storico, occorre segnalare il passaggio dall’abitabilità, all’agibilità alla SCA, quest’ultima introdotta dal d.lgs. 222/2016 che ha modificato il succitato art. 24 TUE. Uno degli aspetti più rilevanti della nuova disciplina consiste nel fatto che, attualmente, il certificato di agibilità di un immobile non viene rilasciato da un tecnico del Comune ma spetta al cittadino, tramite un tecnico di sua fiducia (solitamente, il geometra o l’architetto), presentare la S.C.A.

Per l’art. 24 TUE (Testo Unico Edilizio), l’agibilità ha la funzione di attestare la sussistenza dei requisiti minimi di “sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, e, ove previsto, di rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato”. Per completezza, si segnala che il cosiddetto “decreto salva casa” (d.l. 69/2024) ha apportato delle modifiche anche al succitato art. 24 TUE introducendo i commi 5-bis, 5-ter, 5-quater che ammettono una possibilità di deroga ai requisiti igienico-sanitari minimi, ad esempio, stabilendo che il tecnico possa rilasciare la S.C.A. con un’altezza minima interna inferiore a 2,70 metri, fino al limite massimo di 2,40 metri. Tale possibilità è ammessa a patto che sia soddisfatto il requisito dell’adattabilità, in relazione alle specifiche funzionali e dimensionali e sia soddisfatta almeno una delle condizioni indicate nel comma 5-ter, ossia i locali si trovino in edifici sottoposti a interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie; oppure sia “contestualmente presentato un progetto di ristrutturazione con soluzioni alternative atte a garantire, in relazione al numero degli occupanti, idonee condizioni igienico-sanitarie dell’alloggio, ottenibili prevedendo una maggiore superficie dell’alloggio e dei vani abitabili ovvero la possibilità di un’adeguata ventilazione naturale favorita dalla dimensione e tipologia delle finestre, dai riscontri d’aria trasversali e dall’impiego di mezzi di ventilazione naturale ausiliari”

Secondo la giurisprudenza:

  • «nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, poiché vale a incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità. Il mancato rilascio della licenza di abitabilità, pertanto, integra un inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell’art. 1460 c.c., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, a meno che egli non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’abitabilità o esonerato comunque il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza […]» (Cass. 34211/2022).

Mancata indicazione della parte deceduta in luogo degli eredi: no nullità sentenza

L’erede del venditore – defunto nelle more del giudizio – con ricorso incidentale lamenta che la decisione gravata abbia omesso di dare conto del suo intervento in corso di causa in qualità di erede dell’alienante, deducendo la nullità della decisione per mancanza dei requisiti formali indispensabili al raggiungimento dello scopo (ex art. 156 c. 2 c.p.c.).

I giudici di legittimità considerano infondata la doglianza e affermano quanto segue:

  • «l’omessa indicazione, nell’intestazione, motivazione o dispositivo della sentenza, della parte deceduta nel corso del processo in luogo degli eredi costituitisi successivamente in giudizio, non determina la nullità della pronunzia, ma si risolve in un errore materiale, suscettibile di correzione con la procedura prevista dagli artt. 287 e 288 c.p.c., poiché non incide sulla ratio e sul contenuto della decisione, né sulla identificazione dei soggetti del rapporto processuale» (Cass. 3211/1979; Cass. 5662/1984; Cass. 364/1981; Cass. 28312/2002; Cass. 504/2006).

Conclusioni: accolto il ricorso del compratore

Per tutte le ragioni di cui in narrativa, la Suprema Corte accoglie il ricorso promosso dal compratore contro il venditore, la sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla corte d’appello in diversa composizione.

 

Fonte: https://www.altalex.com/documents/news/2025/10/16/immobile-senza-agibilita-compratore-puo-rifiutare-pagare-saldo