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Domanda giudiziale: l’interruzione della prescrizione opera anche per una domanda diversa?

La domanda di esecuzione in forma specifica interrompe la prescrizione anche per il diritto alla risoluzione del contratto fatto valere in un secondo giudizio

Le parti stipulano un preliminare di compravendita avente ad oggetto un immobile, i promittenti venditori non si presentano dal notaio per la conclusione del contratto definitivo, non avendo provveduto alla regolarizzazione urbanistica del bene. Il promissario compratore agisce in giudizio esperendo la domanda di esecuzione in forma specifica ma, non avendo integrato il contraddittorio verso tutti e due i venditori, il giudizio si estingue. Incardina, allora, un secondo giudizio, reiterando la domanda ex art. 2932 c.c. e, in via subordinata, chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione della caparra. I venditori eccepiscono l’intervenuta prescrizione perché l’effetto interruttivo della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale formulata nel primo giudizio, secondo le loro difese, non opera verso la domanda di risoluzione proposta, per la prima volta, nel secondo giudizio.

L’effetto interruttivo della prescrizione opera anche verso la domanda non formulata nel primo giudizio?

La Corte di Cassazione, Sezione II, con l’ordinanza del 25 agosto 2025 n. 23815 (testo in calce), afferma che l’interruzione della prescrizione prodotta dalla proposizione della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. (avvenuta con il primo giudizio) produce effetti anche in relazione al diritto di risoluzione del contratto (fatto valere nel secondo giudizio). Infatti, ambedue le domande riguardano il rapporto contrattuale e sono dirette a tutelare una parte di fronte all’inadempimento della controparte. La pronuncia è interessante anche perché ricorda che, in relazione alla domanda di esecuzione in forma specifica, «non è richiesta l’offerta formale del prezzo ex artt. 1206 ss. c.c., ma è sufficiente un comportamento che esprima in modo certo la volontà di adempiere».

La vicenda

Nel lontano 1993 le parti stipulavano un contratto preliminare di compravendita per l’importo di 157 milioni di lire; il compratore versava contestualmente al preliminare l’importo di 20 milioni di lire a titolo di caparra confirmatoria. I contraenti convenivano di stipulare il contratto definitivo nel corso dello stesso mese, tuttavia, i promittenti venditori non procedevano alla regolarizzazione urbanistica dell’immobile – che richiedeva un condono – e non si presentavano il giorno dell’appuntamento dal notaio, nonostante i solleciti in tal senso.

Nel 1998, il promissario acquirente conveniva in giudizio uno dei promittenti venditori chiedendo l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferimento ex art. 2932 c.c. Il tribunale rilevava la necessità di integrare il contraddittorio con l’altra promittente venditrice e, stante l’omessa integrazione, dichiarava l’estinzione del giudizio nel 2005.

Nel 2006, il promissario acquirente conveniva in giudizio ambedue i promittenti venditori reiterando la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferimento e, in via subordinata, di risoluzione del contratto per inadempimento, restituzione della caparra e risarcimento del danno.

Nel 2016 il tribunale rigettava tutte le domande, in quanto il contratto non era suscettibile di esecuzione in forma specifica stante la mancanza di regolarità urbanistica e la mancanza della concessione in sanatoria o altri titoli abilitativi (in buona sostanza, per difetto dei presupposti richiesti ex artt. 17 e 40 legge 47/1985 e art. 46 TUE).

In sede di gravame, veniva confermato il rigetto della domanda ex art. 2932 c.c. per l’assenza di documentazione urbanistica mentre veniva accolta la domanda subordinata di risoluzione, stante l’inadempimento dei promittenti venditori per mancata sanatoria e la condanna alla restituzione della caparra. Invece, era esclusa la prescrizione dedotta dai promittenti venditori stante l’effetto interruttivo dell’atto di citazione del 1998, anche con riferimento alla domanda di risoluzione.

Si giunge così in Cassazione.

No alla prescrizione della domanda di risoluzione

I promittenti venditori si dolgono del fatto che la sentenza gravata abbia rigettato l’eccezione di prescrizione in relazione alla domanda di risoluzione del contratto. Infatti, il promissario acquirente aveva agito per l’esecuzione in forma specifica e aveva chiesto la risoluzione, per la prima volta, nel 2006, ossia 13 anni dopo la stipula del preliminare.

La Suprema Corte considera infondata la doglianza.

I giudici di legittimità chiariscono che l’effetto interruttivo della prescrizione opera anche in relazione alla domanda di risoluzione del contratto. Tale domanda era stata proposta, per la prima volta, nel 2006 (ossia nel secondo giudizio incardinato dal promissario acquirente) e gli ermellini precisano che l’effetto interruttivo si estende:

  • al diritto dedotto in via principale
  • e anche ai diritti che si trovano in relazione di causalità anche subordinata “nel quadro dell’unitario rapporto fatto valere per via della domanda principale”

Per completezza espositiva, è bene evidenziare che l’interruzione della prescrizione, che si verifica con la proposizione della domanda giudiziale, si estende solo a quei fatti «che costituiscano il logico e implicato sviluppo di un dato presupposto necessario» (Cass. 16120/2023, Cass.37735/2022). Pertanto, ad esempio, la richiesta di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore non impedisce la prescrizione dell’autonomo diritto all’indennità di occupazione dell’immobile; tale ultimo diritto, infatti, si fonda non sullo scioglimento del rapporto per inadempimento, ma sulla circostanza che il conduttore continui a trattenere il bene locato ritardandone la restituzione (Cass. 34154/2019 citata da Cass. 16120/2023). Invece, la domanda giudiziale ha efficacia interruttiva della prescrizione in relazione a tutti i diritti che si ricolleghino causalmente «al rapporto cui inerisce, senza che occorra proporre, nello stesso o in altro giudizio, una specifica domanda diretta a farli valere e anche quando, in quello pendente, tale domanda non sia proponibile» (Cass. 16293/2016 citata da Cass. 16120/2023).

I giudici di legittimità ricordano che le domande di esecuzione in forma specifica e di risoluzione del contratto sono ambedue dirette a tutelare la parte a fronte dell’inadempimento della controparte. Il diritto alla risoluzione è strettamente collegato al rapporto contrattuale dedotto in giudizio con la domanda di esecuzione in forma specifica. Da ciò deriva che dell’interruzione della prescrizione ad opera della proposizione della domanda ex art. 2932 c.c. (nel primo giudizio) beneficia anche il diritto alla risoluzione del contratto (fatto valere nel secondo giudizio).

Approfondimento: interruzione (istantanea e sospensiva) della prescrizione

Dal momento che la decisione in commento menziona l’effetto interruttivo della prescrizione, può risultare utile ricordare, in sintesi, la relativa disciplina. L’interruzione interviene allorché:

  • il titolare del diritto compia un atto che comporta l’esercizio del diritto stesso (art. 2943 c.c.),
  • oppure il soggetto passivo effettui un riconoscimento del diritto altrui (art. 2944 c.c.).

A norma dell’art. 2943 c.c. interrompono la prescrizione:

  • la notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio (di cognizione, conservativo o esecutivo),
  • la domanda proposta nel corso di un giudizio,
  • ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore,
  • l’atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.

Con l’interruzione comincia a decorrere ex novo il termine di prescrizione. In merito alla decorrenza, essa dipende dalla tipologia dell’atto interruttivo; infatti, è possibile distinguere tra:

  • atti interruttivi con effetto istantaneo (ex art. 2945 c. 1 c.c.) dopo il compimento dei quali inizia un nuovo periodo di prescrizione (ad esempio, dopo la notifica della costituzione in mora o dell’atto di precetto),
  • atti interruttivi con effetti prolungati (ex art. 2945 c. 2 c.c.), i quali interrompono la prescrizione per un periodo più lungo rispetto al loro compimento (ad esempio, la domanda giudiziale interrompe il termine dalla data di notifica sino al passaggio in giudicato).

Paragrafo tratto da “Il pignoramento mobiliare negativo interrompe la prescrizione?” a firma della scrivente.

Torniamo ora alla decisione in commento.

Ai fini dell’esecuzione in forma specifica non occorre l’offerta reale

Tra le varie doglianze, i promittenti venditori, lamentano che il promissario acquirente, nell’atto di citazione, abbia semplicemente espresso una dichiarazione d’intenti, non avendo egli dimostrato né l’effettivo pagamento né l’offerta reale della somma.

La Suprema Corte rigetta la censura.

Infatti, ai fini della domanda ex art. 2932 c.c. non è richiesta l’offerta formale del prezzo ma è sufficiente una condotta che esprima in modo evidente la volontà di adempiere (in tal senso Cass. 27342/2018). La Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che la dichiarazione resa nell’atto di citazione unitamente alla richiesta della pronuncia costitutiva integrasse gli estremi dell’offerta rilevante a tali fini. I giudici precisano inoltre che non «può ritenersi necessaria una concreta disponibilità delle somme sin dall’introduzione del giudizio, essendo sufficiente che, al momento della decisione, il promissario acquirente non sia inadempiente».

Per completezza espositiva, si ricorda che, per la giurisprudenza, l’art. 2932 c. 2 c.c. (secondo cui “la domanda non può essere accolta se la parte che l’ha proposta non esegue la sua prestazione o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esigibile”), non postula che l’offerta sia reale o per intimazione (ex artt. 1208 e 1209 c.c.); infatti, può essere sufficiente un’offerta nelle forme d’uso (ex art. 1241 c.c.); in altre parole, basta un’offerta costituita da una seria manifestazione della volontà di eseguire la controprestazione, espressa in qualsiasi modo che escluda dubbi sulla concreta intenzione della parte di adempiere. Pertanto, «integra il presupposto di legge anche l’offerta della prestazione formulata con l’atto di citazione del promissario acquirente, sottoscritto dal procuratore» (Cass. 26011/2010 citata da Cass. 27342/2018).

La legge 47/1985 si applica anche agli immobili edificati in data anteriore ad essa

Secondo il ricorrente la data di costruzione del suo immobile è anteriore all’entrata in vigore della legge 47/1985, inoltre, egli aveva prodotto la domanda di sanatoria formulata nel 1986 e lamenta che la sentenza gravata abbia ritenuto tale documentazione inidonea a sanare gli abusi edilizi.

Gli ermellini ricordano che la suddetta legge «ha introdotto un regime di nullità per gli atti di trasferimento di immobili urbanisticamente irregolari, applicabile anche a immobili costruiti prima della sua entrata in vigore». Per i beni immobili edificati anteriormente al 1985 e per i quali era in corso una sanatoria, non è sufficiente il mero deposito della domanda di sanatoria. Infatti, onde evitare la nullità comminata dall’art. 40 comma 2 legge 47/1985, occorre che l’atto di trasferimento contenga la dichiarazione degli estremi della domanda di sanatoria e l’attestazione dei relativi versamenti. Secondo la costante giurisprudenza (Cass. 4502/2020) anche per le costruzioni anteriori alla mentovata legge, è necessario che l’alienante indichi nell’atto di trasferimento gli estremi della licenza edilizia, della concessione in sanatoria o della relativa domanda corredata dalla prova del versamento delle prime due rate dell’oblazione; in difetto, l’atto è affetto da nullità.

Conclusioni: accolto il ricorso del promissario acquirente

In conclusione, i giudici di legittimità rigettano il ricorso dei promittenti venditori che vengono condannati a pagare le spese del giudizio liquidate in 5.800 euro oltre oneri. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto (art. 13 comma 1-quater DPR 115/2002).

Fonte: https://www.altalex.com/documents/news/2025/10/20/domanda-giudiziale-interruzione-prescrizione-opera-anche-per-domanda-diversa