Anche se l’ATP è anteriore alla Legge Gelli, il giudizio di merito deve rispettare l’art. 15 (Cassazione civile n. 15594/2025)
Nei giudizi di responsabilità medica, se la consulenza tecnica acquisita non rispetta il principio di collegialità previsto dalla legge 24/2017, la sentenza che vi si fonda è nulla per violazione di norma processuale inderogabile.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. III Civile, con la sentenza 11 giugno 2025, n. 15594 (Pres. Scrima, Rel. Iannello – testo in calce), chiarendo che anche in presenza di una CTU monocratica disposta prima della legge Gelli-Bianco, il successivo giudizio di merito deve comunque adeguarsi alle nuove regole.
Il caso: decesso post empiema, ATP monocratica e giudizio successivo
La controversia trae origine dalla morte di una paziente per complicanze settiche da empiema pleurico, a seguito di presunti ritardi nel posizionamento del drenaggio toracico. I familiari agiscono per il risarcimento, dopo aver promosso nel 2016 un accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis c.p.c.
In ATP veniva nominato un solo medico legale, senza affiancamento da parte di specialisti pneumologi o chirurghi toracici. Nonostante la consulenza esprimesse parere favorevole all’operato dei sanitari, gli attori agivano in giudizio nel 2018, dopo l’entrata in vigore della legge Gelli.
Tribunale e Corte d’Appello rigettavano la domanda ritenendo sufficiente la perizia acquisita in sede di ATP. Ma la Cassazione ribalta il verdetto.
Il principio tempus regit actum e la natura autonoma dei procedimenti
Nel suo articolato percorso motivazionale, la Corte di Cassazione affronta due questioni centrali legate al peculiare sviluppo temporale del procedimento di responsabilità sanitaria:
- La prima concerne l’applicabilità dell’art. 15 della L. n. 24/2017 (Legge Gelli-Bianco) – che impone specifici requisiti ai consulenti nominati nei giudizi in materia sanitaria – nei casi in cui il giudizio risarcitorio sia stato introdotto dopo l’entrata in vigore della norma (1° aprile 2017), ma sia stato preceduto da un procedimento di consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. svolto anteriormente a tale data.
- La seconda, subordinata alla prima, riguarda le conseguenze processuali dell’inosservanza di tale previsione: cosa accade, cioè, se il giudice del merito nomina un consulente che non rispetta i criteri dell’art. 15?
1. Applicabilità della norma e principio tempus regit actum
La Cassazione risponde chiaramente alla prima questione: è il giudizio di merito, e non l’ATP, il momento rilevante per determinare l’applicabilità ratione temporis dell’art. 15 L. 24/2017. In applicazione del principio tempus regit actum, la norma processuale si applica a tutti gli atti compiuti successivamente alla sua entrata in vigore, anche se inseriti in un contesto processuale che trae origine da un procedimento anteriore.
La Corte riconosce che tra la consulenza tecnica preventiva (CTP) ex art. 696-bis c.p.c. e il successivo giudizio risarcitorio esiste uno stretto raccordo funzionale, suffragato da numerosi elementi normativi:
- la consulenza preventiva è condizione di procedibilità dell’azione di merito;
- spesso è il medesimo giudice a occuparsi di entrambe le fasi;
- vi è una continuità temporale tra la chiusura della CTP e l’introduzione del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. (ora art. 281-undecies c.p.c.);
- la consulenza può essere acquisita agli atti del giudizio di merito e agevolarne l’istruttoria.
Tuttavia, prosegue la Corte, tale collegamento non è sufficiente per considerare le due fasi come un unico procedimento bifasico. Al contrario, si tratta di procedimenti autonomi, ciascuno con struttura e funzione proprie:
- la CTP ha natura prevalentemente conciliativa e deflattiva, volta a evitare l’instaurazione del giudizio;
- il giudizio di merito è a cognizione piena, destinato ad accertare la responsabilità e quantificare il danno.
Richiamando la recente Cass. civ., sez. III, n. 11804/2025, la pronuncia ribadisce che ci si trova dinanzi a due procedimenti distinti, funzionalmente collegati ma non strutturalmente unitari.
2. Le conseguenze dell’inosservanza dell’art. 15 L. 24/2017: nullità e obbligo di rinnovazione della consulenza
La qualificazione del giudizio risarcitorio come procedimento autonomo e successivo rispetto all’ATP ha ricadute decisive sul piano processuale. In particolare, la Corte afferma che l’art. 15 L. 24/2017 si applica a tutti i giudizi di merito instaurati dopo la sua entrata in vigore, anche se preceduti da una consulenza tecnica preventiva (CTP) espletata secondo le regole previgenti. Ne consegue che il giudice del merito non può ritenere sufficiente una CTU acquisita dall’ATP priva dei requisiti di collegialità previsti dalla nuova disciplina.
Il Tribunale, pertanto, avrebbe dovuto disporre la rinnovazione della consulenza, affidando l’incarico a un collegio composto da almeno un medico legale e uno o più specialisti nella disciplina coinvolta, come previsto espressamente dall’art. 15, comma 1, L. 24/2017.
La Corte chiarisce che si tratta di un obbligo inderogabile e che l’atto istruttorio non può ritenersi validamente compiuto se non rispetta i requisiti formali sostanziali richiesti dalla norma. Non assume rilievo, in questo senso, l’argomento secondo cui la consulenza era già stata svolta in sede di ATP, poiché la norma impone il rispetto del requisito della collegialità con riferimento al momento dell’atto, e non alla sua origine o funzione pregressa.
Conseguentemente, “L’inosservanza del requisito di necessaria collegialità della consulenza tecnica nei termini di cui all’art. 15 L. n. 24/2017 costituisce causa di nullità della sentenza che ne faccia fondamento, per violazione di norma processuale inderogabile.”
La nullità della sentenza per violazione dell’art. 15
Il fulcro della decisione in comento è la natura inderogabile del principio di collegialità, che impone al giudice la nomina congiunta di un medico legale e di uno o più specialisti nella branca coinvolta: In particolare, viene affermato un principio di diritto di grande impatto sistematico:
La Cassazione qualifica, dunque, il mancato rispetto dell’art. 15, non come una mera irregolarità valutabile in concreto dal giudice del merito, ma come un vizio processuale che inficia la validità dell’intero percorso istruttorio, generando una nullità insanabile della decisione fondata su tale consulenza.
Tale conclusione a cui perviene la Corte si fonda su molteplici argomenti:
- la chiarezza testuale dell’art. 15, che introduce una regola obbligatoria e non facoltativa per la nomina dei CTU;
- l’autorità della Corte costituzionale, che nella sent. n. 102/2021 ha riconosciuto nella collegialità una garanzia irrinunciabile in materia di responsabilità sanitaria;
- la ratio garantista della norma, volta ad assicurare al giudice una base conoscitiva interdisciplinare e altamente qualificata per accertamenti tecnici spesso complessi.
Infine, la Cassazione sottolinea che la valutazione sull’adeguatezza della consulenza non può essere lasciata alla discrezionalità del giudice di merito: l’inosservanza dell’art. 15 costituisce un vizio strutturale dell’atto, non sanabile con valutazioni ex post sull’idoneità del CTU nominato.
Valenza sistemica della pronuncia
La sentenza n. 15594/2025 assume un rilievo sistemico che travalica il caso concreto, intervenendo con chiarezza su un nodo interpretativo da tempo dibattuto nella prassi giudiziaria: l’obbligatorietà della collegialità nella consulenza tecnica nei giudizi di responsabilità sanitaria.
Richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 102/2021, la Cassazione ribadisce che il principio in questione non ha natura organizzativa o economica, ma costituisce una garanzia sostanziale a tutela dell’affidabilità e della completezza dell’accertamento tecnico, funzionale a una verifica dell’an e del quantum il più possibile conforme alle leges artis. Viene così definitivamente superato l’orientamento per cui la CTU monocratica, se ben motivata, potesse essere considerata sufficiente.
La Corte chiarisce altresì che, sebbene la consulenza tecnica preventiva possa assolvere la condizione di procedibilità ex art. 8 L. 24/2017, essa non è idonea a fondare la decisione di merito se non conforme all’art. 15, in particolare se priva della collegialità (medico legale + specialista di branca). Spetta dunque al giudice, una volta instaurato il giudizio di merito, disporre un nuovo accertamento collegiale, pena la nullità della sentenza per violazione di norma processuale inderogabile (art. 156 c.p.c.).
Possiamo quindi ritenere acquisiti i seguenti punti:
- il rispetto della collegialità non è rimesso alla discrezionalità del giudice;
- la sua inosservanza comporta una nullità assoluta e rilevabile anche d’ufficio;
- la consulenza tecnica in ambito sanitario assume una funzione strutturale e garantistica, e non meramente accessoria.
Questione aperta: il valore della CTU monocratica pre-Gelli
Pur non affrontando in modo diretto il tema della procedibilità, la Corte – con un passaggio significativo in obiter – afferma che: “….il Tribunale avrebbe dovuto disporre un nuovo accertamento tecnico in forma collegiale, in sostituzione di quello monocratico svolto in fase preventiva.” Questo passaggio lascia intendere che, pur potendosi ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità in presenza di una consulenza monocratica svolta prima dell’entrata in vigore della riforma, tale accertamento non è comunque idoneo a sorreggere la decisione nel merito, la quale richiede necessariamente una nuova consulenza tecnica svolta in forma collegiale.
Simile interpretazione, pur senza imporre la riapertura automatica dei procedimenti già avviati, delinea una via correttiva che il giudice è tenuto a percorrere, in coerenza con i principi del giusto processo e della tutela effettiva dei diritti.
Estensione al 696-bis: CTU collegiale anche in fase preventiva
Va inoltre sottolineato che la collegialità è oggi obbligatoria anche nei procedimenti di accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis c.p.c. in materia sanitaria.
Ogni istanza presentata dopo l’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco deve prevedere espressamente la nomina di un collegio peritale, pena l’inutilizzabilità della relazione a fini decisori.
Focus odontoiatria: criticità ancora irrisolte
Resta aperta la questione della corretta applicazione del principio di collegialità nei giudizi per responsabilità odontoiatrica, ambito in cui emergono specificità non sempre compatibili con l’impianto previsto per la medicina generale. L’odontoiatria, infatti, non è una branca della medicina, ma una professione sanitaria autonoma, riconosciuta come tale dal D.Lgs. 502/1992 e dalle direttive europee. Questo solleva un primo interrogativo: è davvero necessaria la presenza del medico legale anche nei casi odontoiatrici?
Molti ritengono che, in tali casi, il medico legale dovrebbe essere affiancato o, in determinate ipotesi, sostituito da un odontologo forense, figura più adeguata a garantire l’equilibrio tecnico-giuridico richiesto dalla CTU.
A ciò si aggiunge un ulteriore problema: la definizione di “specialista di branca” in odontoiatria è tutt’altro che pacifica, poiché le specializzazioni ufficialmente riconosciute sono solo tre (chirurgia orale, ortognatodonzia e odontoiatria pediatrica). Chi deve dunque valutare una devitalizzazione errata? Un odontoiatra generico? Un chirurgo maxillo-facciale? Un odontologo forense?
L’assenza di criteri normativi chiari sulle competenze peritali in questo ambito espone il processo a margini di incertezza, con possibili riflessi sulla legittimità delle nomine, sulla tenuta dell’accertamento tecnico e, in ultima analisi, sulla validità della decisione giudiziale.
Fonte: https://www.altalex.com/documents/news/2025/07/23/ctu-non-collegiale-sentenza-nulla-giudizi-sanitari